La "singolarità" del Marocco il paese dell'estremo occidente degli arabi * di Lucio Pala
      
La "singolarità", la decisa "unicità" del caso Marocco, costituisce l'aspetto 
del Regno magrebino che, prioritariamente, ho colto, sin dal mio primo contatto 
con il paese nord-africano.
È doveroso riconoscere che un ruolo tutt'altro che secondario ha certamente 
giocato, in tal senso, quella che si potrebbe chiamare la mia "deformazione 
professionale". È fuori dubbio infatti che lo studioso di dottrine politiche – 
pur senza volerlo- era soprattutto curioso della realtà politica del paese che 
visitava ed è precisamente soffermandomi su questo aspetto che ho scoperto, in 
primo luogo, che la concezione del Monarca come depositario di un potere arcano 
e misterioso, era in Marocco ben lungi dall’essere obsoleta e, anzi, che una 
tale idea della sovranità era profondamente radicata nella coscienza popolare
Questa individuazione costituiva, per un intellettuale europeo, una scoperta 
appassionante: la monarchia marocchina era incomparabilmente diversa dalle 
monarchie europee, ma anche dalle monarchie degli altri paesi arabi. Il Re del 
Marocco, Amir Al Muminin –Principe dei Credenti- era politico e religioso 
insieme, come un tempo i Califfi storici. Inoltre, in quanto discendente diretto 
del Profeta Mohammed era dotato di baraka, depositario cioè di una sacralità che 
non discendeva dal suo ruolo istituzionale, ma che gli era intrinseca. Per dirlo 
in altri termini, appariva ben chiaro all’analista politico che il Re del 
Marocco aveva sul suo popolo un’autorità morale senza limiti, ad un livello tale 
che poteva ingenerare, in un osservatore superficiale della realtà marocchina, 
l’idea falsa che il Sovrano del Magreb El Aqsa- o paese dell’estremo occidente 
come le chiamano gli arabi- avesse dei poteri praticamente assoluti. In effetti 
il “potere regio” aveva in Marocco un ruolo centrale e fondamentale rispetto 
agli altri poteri dello Stato, quali il legislativo, l’esecutivo e il 
giudiziario, ma questo ruolo non era affatto arbitrario, perché discendeva dalla 
specifica tradizione del Paese dove, da sempre, il Trono rappresentava la 
suprema magistratura religiosa e politica.
Questa connotazione del Sovrano non era però esaustiva, perché il Re del Marocco 
era anche un monarca costituzionale e la legge fondamentale del Regno assicurava 
i Diritti dell’Uomo proclamati dalla carta dell’ONU, garantiva tutte le libertà 
individuali e collettive, obbligava al pluralismo dei partiti politici e dei 
sindacati e dotava le Stato delle stesse istituzioni che caratterizzano le 
democrazie occidentali. Questa prima “scoperta” della “singolarita” del Marocco 
ha avuto come risultato un libro (Il pensiero di Hassan II Re del Marocco. Dove 
l’oriente incontra l’occidente,ed Quattro Venti, Urbino, 1992) che vuole essere 
un primo approccio ad una realtà complessa e “diversa” ed ha come dichiarato 
obiettivo quello di concorrere a modificare l’immagine stereotipata del Marocco 
che ancora oggi trova in Europa facile credito.
Ma se è indubitabilmente certo che la “singolarita” del Marocco ha il suo primo 
fondamento e la sua fonte principale nella peculiarità del suo sistema politico, 
è ugualmente certo che tale “singolarita”discenda da più elementi che sarebbe 
molto interessante analizzare a fondo. Mi sia concesso di richiamare qui 
l’attenzione del lettore sur alcuni “dati” che sono, a mio avviso all’origine di 
questa peculiare “unicita” del paese dell’estremo occidente degli Arabi.
Il primo “dato” è costituito dal fatto che il Marocco è une Stato sovrano e 
indipendente, con una entità nazionale ben definita, sin dal IX secolo: Idriss, 
il primo monarca del paese, era contemporaneo di Carlomagno, Re dei Franchi e 
imperatore del Sacro Romano Impero, e di Harun El Rashid, il favoloso Califfo di 
Bagdad immortalato nelle Mille e una notte.
E l’avvento al trono marocchino dei sahariani Almoravidi, nella seconda metà 
dell’XI secolo, segnò la fine dell’influenza che i due Califfati dell’occidente 
arabo – fatimita di Kairouan e Ommayade di Cordoba- avevano alternativamente 
esercitato sul Marocco durante i secoli X e XI. A partire dagli Almoravidi, 
tutte le dinastie che si sono succedute nel corso dei secoli sul trono del 
Marocco si sono tutte impegnate a costruire, anche se faticosamente e non sempre 
in maniera lineare, un’identità nazionale propria.
Un altro “elemento” che mi pare assai interessante, è rappresentato dal fatto 
che il Marocco è il solo paese arabo che non abbia mai fatto parte della 
compagine ottomana. La spiegazione storica più diffusa attribuisce alle 
invalicabili montagne tra l’Algeria e il Marocco e alla tenace resistenza dei 
Marocchini lo scacco delle forze armate ottomane; ma è, a mio avviso, una 
spiegazione del tutto insoddisfacente, perché i Turchi disponevano - come è 
noto- di nua flotta potente e la conquista del paese si poteva ben operare a 
partire dalle coste mediterranee, da Ceuta o da Tangeri. In realtà le ragioni 
della “rinunica” ottomana devono risiedere in altre motivazioni, tra cui certo 
il concomitante interesse della Spagna ad impedire l’installazione dei Turchi 
sul territorio nord-africano ad essa prospiciente. Ma alle “ragioni” militari 
della mancata conquista turca, si potrebbe forse anche aggiungere una “ragione” 
politica, che avanzo qui come una pura ipotesi, che mi pare però assai 
suggestiva. Il Sultano di Istanbul fondava la “legittimità” del suo dominio nel 
mondo arabo sul fatto che si presentava come il “difensore” dei credenti, il 
successore dei Califfi di Bagdad: Ma se questa operazione era possibile dovunque 
nell’antico impero musulmano, essa era tutt’altro che possibile in Marocco, il 
cui Sovrano, con l’avvento della dinastia Saadiana, si fregiava del titolo 
califfale di Amir Al Muminin – Principe dei credenti. È molto probabile che 
questa peculiare connotazione del monarca marocchino abbia giocato un ruolo non 
secondario per far desistere il potente Sultano ottomano da una conquista che 
non poteva accampare alcuna giustificazione religiosa e anzi, al contrario, 
sarebbe apparsa come un’eclatante sovversione dell’ordine islamico.
Ma si la “storia” del paese e la sua organizzazione politico-istituzionale hanno 
avuto un incidenza essenziale nell’affermazione di quella che ho chiamato la 
“singolarità” del Marocco, è assolutamente certo comunque che l’”elemento” 
prioritario di questa “unicita” è rappresentato soprattutto dalla religione 
islamica e dal volto tollerante con cui si presenta in Marocco, pur nell’unicità 
universale dei suoi principi.
Il rito musulmano dell’Imam Malik Ibn Anas- che dall’epoca di Idriss I è stato 
adottato in Marocco come rito unico- predica in effetti un Islam di tolleranza, 
di moderazione e di equilibrio, che costituisce un impulso straordinario per le 
sviluppo della cultura e della scienza, e che esclude il fanatismo e 
l’estremismo nelle sue diverse manifestazioni.
La peculiare condizione del Paese-da sempre “carrefour” di culture e di civiltà 
diverse, luogo privilegiato di incontro tra Oriente e Occidente –ha parimenti 
contribuito all’affermazione di una cultura fondata sullo spirito di tolleranza 
e di convivenza pacifica. È, per la verità, un’altra singolarità del Marocco la 
coabitazione armoniosa di più etnie che non sono mai state in contrasto tra loro 
ed hanno ben resistito ai tentativi delle potenze “protettrici” dell’epoca 
coloniale di fomentare artificialemte le divisioni. Il Marocco è, in effetti un 
“singolare” paese arabo, a grande maggioranza abitato da Berberi e con 
consistenti minoranze di Africani e di Ebrei, in cui tutti hanno il sentimento 
profondo di appartenere alla stessa nazione marocchina, che non fa distinzione 
alcuna tra le razze e le culture dei suoi concittadini.
Questo tranquillo vivere insieme ha radici antiche. Per secoli, Ebrei e 
musulmani hanno vissuto in Marocco in perfetta simbiosi culturale; e quando il 
governo di Vichy, durante la Seconda Guerra Mondiale, decise di imporre al paese 
nord-africano une legislazione antisemita, il Sultano Sidi Mohammed Ben Ussef (Mohammed 
V) si oppose e protesse i cittadini marocchini di religione israelita, perché 
profondamente convinto che la componente ebraica del Marocco, proprio per la sua 
importanza sul piano umano e culturale, andava decisamente salvaguardata.
La “singolarità” del Paese è del resto espressa in termini perfetti dallo stesso 
Re del Marocco in un notissimo brano del suo libro di memorie - Le Défi – che 
recita: ”Il Marocco assomiglia ad un albero le cui radici feconde affondano 
profondamente nella terra d’Africa e che respira grazie al suo fogliame 
frusciante ai venti dell’Europa. E però la vita del Marocco non è soltanto 
verticale. Essa si estende orizzontalmente verso l’Oriente, al quale siamo uniti 
da legami culturali e cultuali secolari. Anche se lo volessimo e non lo 
vogliamo- ci sarebbe impossibile romperli ”.
Le componenti esenziali del Paese: Africa, Europa, Medio Oriente sono 
chiaramente indicate dal Sovrano magrebino ed è proprio la perfetta sintesi di 
queste componenti che ingenera la vera, autentica “singolarità” del Regno 
nord-africano.
Si potrebbe dire ancora molto sul Marocco.
Si potrebbe ricordare che ha la fortuna – che appartiene solo alla Francia e 
alla Spagna- di affacciarsi su due mari – il Mediterraneo e l’Atlantico – che 
sono stati e restano la fonte di quella che chiamiamo la civiltà occidentale.Ci 
si potrebbe intrattenere sull’infinita varietà dei suoi paesaggi che vanno dalla 
costa mediterranea alla Mauritania.E ancora si dimenticherebbero certo 
innumerevoli elementi che fanno la “singolarità” di questo paese straordinario, 
che non si può riassumere in un “resoconto”, ma che vale la pena di visitare, 
non già come un turista distratto di oggi, ma come un viaggiatore appassionato 
di altri tempi, pronto a godere della bellezza della natura e dell’arte e nel 
contempo curioso di apprendere e di conoscere una civiltà diversa, che 
contribuisce senza dubbio a fare più ricca l’umanità.
* 
Rivista Levante (Centro per le relazioni italo-arabe) n°2-3 settembre 1994.